
Leggo, con scarso interesse, a dire il vero, l’articolo del presidente della Fondazione Agnelli riguardo la riforma (?) della scuola in discussione oggi alla camera.
Con scarso interesse perché l’idea di scuola della Fondazione Agnelli è diametralmente opposta alla mia e a quella della maggior parte dei docenti italiani. Non c’è una base espistemologica comune su cui discutere, non ci si può venire incontro. C’è chi la scuola la fa e chi ne parla a sproposito.
L’articoletto apparso su La Repubblica, l’organo ufficiale del governo, contiene molti errori di fondo, a testimonianza del fatto che a doversi formare è la pletora di intellettualoiodi che discetta di scuola, più che i docenti.
Intanto afferma che la nuova legge sull’arruolamento finalmente definisce un percorso chiaro. Peccato che il fatto che i concorsi vengano tarati sugli organici di fatto farà sì che a Settembre ci saranno moltissime cattedre vuote e si dovrà ricorrere per forza al precariato, che non è costituito da una massa di nullafacenti incapaci, come sembra elegantemente sottintendere l’articolo, ma di lavoratori esperti e spesso appassionati, costretti a una vita randagia da normative assurde.
In secondo luogo parla della necessità di formazione dei lavoratori, proponendo di premiare chi si forma anticipando gli scatti d’anzianità, per indurre tutti a formarsi.
Qui viene fuori l’ignoranza di chi ha la pretesa di dettare le regole. il presidente della fondazione Agnelli evidentemente non è a conoscenza del fatto che i docenti, tutti, sono già obbligati a formarsi da anni e tutti, ogni anno, svolgono i loro percorsi. Il problema è che, fino ad oggi, sceglievano su cosa formarsi a seconda delle materie di competenza, degli interessi, delle necessità didattiche, ecc., con la pessima legge di quello che considero il peggior ministro degli ultimi vent’anni, e ce ne vuole, questo non accade più: percorsi triennali imposti dall’alto e senza alcun criterio.
L’equivoco di fondo è che la formazione innalzi i livelli di insegnamento, ma non si impara a fare scuola sui libri nè seguendo un corso. Ci sono insegnanti preparatissimi dal punto di vista tecnico che non sanno insegnare, non sanno entrare in empatia con le classi, non sono in grado di comunicare. Ci sono invece insegnanti preparatissimi tecnicamente che sanno fare tutto questo e ne hanno piene le scatole della fondazione Agnelli, di sociologi, psicologi, nani e ballerine che si sentono in dovere di pontificare su un mondo che non conoscono.
Come sempre, nell’articolo mancano i ragazzi, quei ragazzi da educare e da formare, nuove generazioni a cui la scuola deve fornire, prima di tutto, valori di riferimento, idee, la capacità di leggere e decifrare criticamente la realtà, quelle soft skills definite a livello europeo, le competenze di base per vivere serenamente, che da noi sono solo parole che appaiono di tanto in tanto su fogli e circolari, senza mai essere messe in pratica. serve una spinta salutifera sui diritti civili, l’educazione all’inclusione, al rispetto della diversità, che sia di genere o etnica. Serve un impulso maggiore per promuovere la lettura, la scrittura,
Alla scuola serve una sburocratizzazione radicale, una messa in sicurezza totale che parte da sistemi di aerazione nelle classi e dal ritorno del medico scolastico, un supporto psicologico in ogni istituto, una dirigenza diversa, non di yes man, ma di professionisti che non si curino solo di guardarsi le spalle ma siano un punto di riferimento per i docenti, senza fomentare ulteriori frustrazioni. Questo tanto per cominciare.
Servono classi meno numerose, maggiore flessibilità didattica, la possibilità di fare compresenza in un’ottica di autoformazione e confronto e anche stipendi più alti, certo, serve una spinta salutifera sui diritti civili, l’educazione all’inclusione, il rispetto della diversità, che sia di genere o etnica. Serve un impulso maggiore per promuovere la lettura, la scrittura, l’arte, in parole povere, la cultura a tutto tondo. C’è bisogno di un nuovo umanesimo, non di nuove tecnologie di cui ne abbiamo piene le tasche dopo due anni di didattica a distanza in cui i docenti italiani hanno dimostrato, inventandosela, di avere bisogno di tutto tranne che di formazione a questo riguardo.
Di tutto questo il presidente della Fondazione Agnelli non fa parola, naturalmente, perché lui immagina, come molti dirigenti, solo controllati e controllori, di questo parla quando fa cenno alla partecipazione dei docenti meritevoli (secondo chi? seocndo quali criteri?) alla gestione della scuola.
Questa è la dicotomia fondamentale tra i docenti, almeno la maggior parte di loro, e questi parlatori a vanvera, ministero compreso: la differenza tra chi pensa ai ragazzi, al loro futuro e al futuro del paese e chi vuole formare una massa silente di consumatori obbedienti.